Katherine, 1 Agosto 2004
Il canguro vive solo in Australia. Ce ne sono un sacco e sono un problema perche’ hanno la tendenza suicida di buttarsi sotto le macchine in corsa. Noi in 5000 km ne abbiamo visti solo due, oltre a un wallaby, una specie di minicanguro. 5000 km, tre pezzi, circa uno ogni 1600 km. Pochi.
Fabio e Alberto sono un po’ delusi, si aspettavano qualcosa di piu’. Io ne ho visti a sufficienza in passato e non mi lamento anche se vedere una mandria saltellante contro il tramonto calante mi sarebbe piaciuto.
Sono le sei di sera. Di sera non si dovrebbe viaggiare perche’ seno’ si beccano i canguri, ma siamo partiti in ritardo e siamo quasi arrivati a Katherine per cui continuiamo.
Andiamo piano, sugli 80 all’ora, e si chiacchiera. Io sto scrivendo il report sopra, anzi ho finito e mi guardo alcune foto.
A un certo punto Fabio frena di colpo, si sente uno scrriiiccccckkkk di gomme e poi uno STONF!!! e intravedo un canguro volare. Abbiamo beccato un canguro!
Siamo fermi nella notte australiana, si sente odore di gomma bruciata e si respira un’aria di tragedia.
Scendiamo, vediamo la frenata e il faro rotto. Del canguro, o ex-canguro, nessuna traccia. O meglio, una traccia c’e’: il suo pelo sul faro rotto.
Risaliamo in macchina e facciamo retromarcia alla ricerca del cadavere. Niente cadavere, andavamo piano e abbiamo frenato abbastanza, forse e’ vivo. Cerchiamo ai lati ma niente. Ripartiamo. Povera bestia. Cominciamo a fare ipotesi sulla sua fine ma un canguro con una gamba rotta non credo abbia molte possibilita’.
Ok, adesso e’ chiaro perche’ non si deve viaggiare la notte.
Continuiamo verso Katherine mentre Fabio, l’assassino di canguri, e’ alle prese con la propria coscienza. Noi non lo aiutiamo, anzi infieriamo “maledetto assassino”, “ti si legge in faccia che ti e’ piaciuto”, “e vai piano che seno’ ne becchi un altro”, ecc…
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Arriviamo a Katherine la sera e ci piazziamo nel primo ostello libero, il Coco’s, in 1st street 21.
Appena entrati capiamo che e’ un buon posto. La gente ci guarda e ci saluta, c’e’ una buona percentuale di giapponesi e coreani, sul 30%, e un’ottima di inglesi, 10%. Niente contro gli inglesi ma e’ meglio evitare quelli che viaggiano in gruppo.
L’inglese che viaggia da solo invece e’ ottimo.
La mattina portiamo Alberto detto “piede molle” in ospedale, la sua ferita si e’ infettata. Lo lasciamo li con i suoi nuovi amici aborigeni e ci passa la notte sotto i ferri. 24 ore e 2400 dollari dopo esce e ringrazia il cielo del fatto che esista la convenzione sanitaria Italia-Australia che paghera’ le spese.
Ci racconta di un aborigeno che all’alba e al tramonto salutava il sole con canti tradizionali e la cosa mi resta, chissa’ perche’, impressa.
Io passo un paio di giorni cercando didgeridoos da comprare ma la cosa si preannuncia difficile. Tutti i negozi del centro hanno dei bei didgeridoos, ma sono cari e soprattutto non si capisce bene da chi siano fatti.
La maggior parte in effetti sono fatti da bianchi, o tagliata da bianchi e fatti pitturare da aborigeni, spesso non artisti ma solo aborigeni che non ne sanno niente e vogliono fare qualche soldo. Tutti ti offrono certificati di garanzia ma per me sono solo pezzi di carta, io voglio essere sicuro che chi lo ha fatto sia un aborigeno che se l’e’ andato a cercare nel mezzo del bush (qualsiasi luogo lontano dalla civilta’ si chiama bush, tranne il Montello, TV) e lo abbia pitturato sapendo quel che faceva..un vero artista. Ma i veri artisti producono poco e sono eclettici…niente di simile alla catena di montaggio che ci vorrebbe per soddisfare la domanda del mercato. Allora i furbacchioni li fanno produrre a backpackers o a gente che non c’entra niente con la cultura aborigena. Poi finiscono nei negozi e successivamente, con qualche chiacchiera ben assestata, in mano al turista danaroso che sborsa 400 dollari per un pezzo di legno trapanato e pitturato da un backpacker giapponese.
Vado in cerca di un aborigeno per comprarli direttamente ma non e’ facile, i veri artisti sono tutti in mezzo al bush e per arrivarci ci vuole un permesso speciale, una quattro ruote e soprattutto il tempo che io non ho.
Poi trovo questa cooperativa di aborigeni, gestita da aborigeni, finanziata dallo stato, che ha come scopo il dare lavoro agli aborigeni. Non hanno molte cose ma quel che hanno e’ genuino, rappresentano artisti di tutta la zona di Katherine, gente che vive nel bush e che non viene mai nella civilta’…forse comprero’ da loro.
Intanto sul fronte Fabio/Alberto che sarebbero dovuti partire gia’ da qualche giorno ci sono novita’. Verranno anche loro al “walking with spirits”, un festival aborigeno nel mezzo del bush, che si terra’ il fine settimana.
Non si sa bene cos’e’ ma io spero di poter comprare dei didg da un artista mentre Fabio e Alberto non vogliono perdere l’occasione di entrare in terra aborigena, zona dove di solito serve un permesso, tranne appunto questo weekend.
Partiamo addirittura la sera prima con due ragazze e due ragazzi austro/tedeschi/inglesi e una giapponese di vent’anni, Keiko, che e’ la terza volta che mi vede e si presenta, dimenticandosi sempre di avermi gia’ conosciuto. Faccio proprio colpo sulle donne.
Adesso mi riconosce ma continua a sbagliare i nostri nomi, Alberto e’ diventato Algentino, mentre Fabio lo imbrocca ma dice sempre:
-“Fo..Fi…Fabio”. Di me si ricorda solo che inizia per L.
A un certo punto arriviamo all’ultimo incrocio e non ci prendiamo la briga di leggere bene il cartello dove (ho scoperto solo ieri, una volta tornato) c’era scritto “solo quattroruote”.
Inizia cosi’ una strada di polvere finissima che quando passa la macchina si alza una colonna di cinque metri e che basta mettere un piede per terra per non respirare piu’.
Nel buio della notte avanziamo a 40 all’ora che potra’ sembrare poco ma e’ tantissimo per quella strada, tanto che ogni tanto diciamo a Alberto di rallentare che ci sembra di essere in un rally. Ma rallentare non si puo’ altrimenti ci impantaniamo.
A un certo punto arriviamo in una radura e ci fermiamo. La luna e’ piena, poche stelle, alberi e rumori di uccelli in lontananza. Aspettiamo gli austroungarici/tedeschi/inglesi e quando arrivano decidiamo di accampare li’ la notte.
Accendiamo un fuoco e cuciniamo una pasta. In lontananaza il suono strano di un animale strano. Max, bavarese, dice che si tratta di asini selvatici. Mangiamo attorno al fuoco, beviamo un po’ di vino (era vietato portarlo all’incontro) e suoniamo la chitarra. I veri hippy del 2004. Niente chiacchiere di amore universale e volonta’ di cambiare il mondo, ma una bella nottata sotto le stelle australiane, lontani da tutti e tutto, in perfetta armonia, per un attimo, senza pretese.
Piss (bellissimo all’ombra lunare di un eucalipto) and love.
Il giorno dopo continuiamo per la strada e arriviamo a un ruscello coperto da delle grate. Proviamo a passare e spacchiamo il silenziatore della marmitta (le malelingue insinueranno che io ho detto “vai vai non c’e’ problema” ma e’ solo una leggenda del deserto). Poi passiamo e arriviamo in un posto che nessuna brochure di nessun Tour Operator del mondo ha mai avuto l’onore di ospitare.
Si tratta di un laghetto pullulante di coccodrilli (alcuni lunghi tre metri), circondato da rocce alte 20 metri con in fondo delle cascate, la spiaggia e’ di sabbia e ci sono vari tipi di alberi. Qui i turisti non ci possono venire, e’ terra aborigena e, scopriamo dopo, il posto non e’ nemmeno segnato nelle mappe. Mi sento fortemente privilegiato, piu’ o meno come se mi avessero dato la Gold Card di qualche club di golf. Ma e’ questo e’ meglio del golf.
Qualcuno dice che dato che i coccodrilli sono di acqua dolce e non sono pericolosi, si puo’ nuotare. C’e gente gia’ in acqua. Siamo pieni di polvere e non resistiamo, ci buttiamo. Iniziamo a nuotare tentando di non pensare ai coccodrilli che poco prima vedevamo dalla riva. Dopo un po’ non ci pensiamo piu’ e ci mettiamo persino a farci degli scherzi. Io mi lancio sott’acqua e attacco da sotto la giapponese che lancia un urlo bestiale. Sono un bastardo lo so, ma da quel momento in poi si ricorda del mio nome.
Poi si esce e si va un po’ in giro, ci si rilassa sulla spiaggia e si guardano le donne aborigene che pescano solo col filo e l’amo.
Quando decidiamo di tornare in acqua non c’e’ nessuno che fa il bagno. In compenso la spiaggia si e’ riempita di gente che arriva per il festival. Io, Alberto e un inglese ci dirigiamo verso le cascate, dall’altra parte del laghetto, a grandi bracciate. Noto che Alberto “Piede Molle” e’ completamente ristabilito e mi stacca di parecchio, raggiungendo l’inglese che era li da un po’.
A un certo punto sento una voce femminile che grida allarmata:
– “get out!!” (uscite)
io dico:
-“why?” (perche’?)
-“croc!” (coccodrillo)
e si aggiunge una voce maschile:
-“get out!”
guardo e vedo che il tipo e’ vestito da ranger e inizio a preoccuparmi.
Ora, che ci fossero coccodrilli lo sapevamo, ma sapevamo anche che erano innocui. Inoltre, devo ammettere, “mi hanno detto che gli hanno detto che”..informazione di seconda mano. Brutta cosa per affidarci la propria vita.
Chi e’ quella ragazza e soprattutto chi e’ quel ranger o pseudo ranger?
Mmmm…devo decidere e in fretta, magari il ranger e’ solo uno pseudo ranger e sono appena arrivati e nessuno li ha informati dell’innocenza dei coccodrilli. Ma se invece…?
Nella mia mente inizia un’attivita’ celebrale velocissima che crea una serie di ipotesi:
– tra i tanti coccodrilli di acqua dolce si e’ infiltrato uno di acqua salata (quelli cattivi mangiauomini) che in televisione dicono arrivi fino a 70 km nell’interno ma magari questo non ce l’ha la televisione e non lo sa.
– tra i tanti coccodrilli innocui uno e’ il pazzo del villaggio e ha un problema di relazionamento con l’Io e non sa che non si mangiano gli uomini.
– tra i tanti coccodrilli innocui uno non ha l’enzima giusto e vomita ogni volta che mangia pesce, odia le rane e non vede l’ora di mangiare carne bianca.
– i coccodrilli non mangiano gli aborigeni, solo i bianchi.
– tra i tanti coccodrilli innocui uno e’ miope
– i coccodrilli non sono innocui e l’inglese e’ stato semplicemente mal informato.
alla quinta ipotesi ero gia’ a meta’ strada verso il ritorno, decisamente piu’ religioso di mezz’ora prima, e ringraziando il cielo di aver fatto jogging le ultime settimane. Il respiro pero’ non sembra abbastanza e chiudo gli occhi per nuotare meglio.
Immagino pero’ il coccodrillo che si avvicina strisciante verso di me. Meglio riaprire gli occhi. Mi stanco di nuotare a stile libero e inizio a rana. Tre bracciate e penso “no, a rana no!!! i coccodrilli mangiano rane!!!”, e riparto in stile libero.
Intanto la riva non si avvicina, mi guardo indietro e vedo Alberto e l’inglese. Mi ritrovo a pensare “Alberto ha un piede ferito che forse sanguina, magari si mangia loro invece che me” e mi rassicuro un po’.
La situazione e’ gia’ tesa ma la maledetta turista disinformata e il maledetto psuedo ranger cominciano ad indicare col braccio bello teso un punto a 10 metri di me, ovviamente indicando il coccodrillo.
Ormai ho piu’ fede di Padre Pio e raddoppio la bracciata ma le braccia non rispondono piu’, mi devo fermare a respirare. Mi fermo, immagino il croc che scende sotto pronto ad attaccare. Riprendo, la costa e’ vicina , non ce la faccio piu’, splash, splash..tocco terra, esco, mi allontano dalla riva e inizio a respirare. Alberto e l’inglese sono ancora in acqua ma ormai non me ne frega piu’ niente. Chiudo gli occhi. E’ finita.
Poi Alberto e l’inglese arrivano e si buttano vicino a me e restiamo senza parlare per un po’.
Arriva Fabio e gli spieghiamo tutto, ride. Dopo un po’ si butta in acqua tranquillo e nuota di qua’ e di la’. mmm..che coraggio.
(Per la cronaca: in seguito ci informiamo per bene e il verdetto unamine e’ “si puo’ nuotare, nessun pericolo”. Maledetto pseudo ranger).
Il festival e’ fortissimo, gli aborigeni suonano, cantano e ballano mentre noi li guardiamo seduti sulla sabbia con in bocca del melone offerto e facciamo pure delle belle foto.
Dietro di noi altri aborigeni si fanno delle risate pazzesche guardando probabilmente i propri bambini ballare. Bella atmosfera, davvero.
La notte la passiamo in riva al lago, accanto al fuoco, con il suono dei didgeridoo in lontananza e il lago pieno di candeline accese. Dormiamo accanto al fuoco, io e Alberto non abbiamo il sacco a pelo, solo due coperte, lui e’ piu’ vicino al fuoco e quando si gira di lato da Appennini diventa Alpi e mi blocca quel poco calore che arrivava. Per lui invece e’ anche troppo caldo.
Nel mezzo della notte mi alzo infreddolito e vado a cercare legna in giro, riporto mezza foresta e mi rimetto a dormire.
La mattina presto arriva Keiko, la giapponese col nome da microonde, che ci saluta. Vuole salutare anche Fabio che dorme nella sua tenda iperteconologica e lo chiama:
-“Fo, Fi…Fabio”
-“Ehh…??” dice lui dalla tenda
-“Ai mast go, gudbai” (devo andare, ciao)
-“Ok, ok, aspetta”.
Sprinz, striz, frishh..inizia una serie di rumori di cerniere che si aprono e io e Alberto ci guardiamo. Friz, sprin, slash…continuano. Ma quanto ci vuole? sicuramente ci mettono meno ad aprire il caveau di una banca svizzera (battuta copyright © Alberto Marchetti “piede molle’) ma alla fine esce e la saluta.
Riprendiamo a dormire. Ci sveglia la luce del sole, le braci ancora calde, i coccodrilli a filo d’acqua. Li voglio fotografare e salgo sulle rocce.
Per strada mi faccio un'”imperiale” che praticamente e’ una defecazione in piena natura con pulitura di sabbia e successivo (posticipato) bagno in acqua. Una delle esperienze mistiche piu’ profonde concesse all’essere umano.
Alberto e Fabio negheranno di averla fatta per motivi di immagine, ma io li sputtano e vi confermo che lo hanno fatto e ne sono stati felici.
Salgo sulle rocce vedo tre coccodrilli (ma c’e’ chi ne ha contati fino a trentuno in altri orari), fotografo e torno giu’.
Mi faccio il bagno, esco e dico:
-“ho fatto le foto ai croc”
Fabio ride.
-“Perche’ ridi?”
-“Dai basta con questa balla dei coccodrilli”
-“come balla, non ci credi?”
Ride ancora.
Tiro fuori la macchina e glieli faccio vedere. Ci crede. Una goccia di sudore scende dalla tempia sinistra. No, era vero che non ci credeva.